C’era l’uomo, c’era il ragazzo.
C’era una storia che andava raccontata e che sfilava una matassa fatta si suoni e di memorie, di malinconiche melodie.
L’uomo ed il ragazzo si scambiarono poche parole prima di iniziare. L’uno era armato di chitarra, l’altro le note le suonava fin dall’anima.
“When I find myself in times of trouble, mother Mary comes to me, speaking words of wisdom, let it be.”
La musica sa scegliere bene i suoi proseliti.
“And in my hour of darkness she is standing right in front of me, speaking words of wisdom, let it be.”
Le parole che seguirono erano perlopiù il contorno di un piatto che bastava da solo a riempirti. Le note iniziarono a scaraventarsi sui muri e rimbalzare fin dentro di te. I passi tenevano il tempo come un metronomo non saprebbe fare, le mani tenevano il ritmo e improvvisavano quando si poteva.
Non c’era nessun Van Halen alla chitarra, nessun Steve Vai, nessuno di questi o dei grandi famosi performer di questo mondo a suonare.
C’era l’uomo e c’era il ragazzo.
C’era un sogno, forse, un’ossessione che solo la musica poteva far esaltare, una poesia che non serviva scritta ma sentita.
E le mani scorrevano sulla chitarra e sui tasti, e l’uomo diceva al ragazzo le note, il ragazzo lo capiva, il ragazzo non aveva bisogno d’altro che quelle sillabe per sapere cosa fare. E dalle sillabe suonava, seguiva, improvvisava.
La stanza era anch’essa contorno. Le persone pure.
C’eravamo, ma non importava.
Poi il ragazzo divenne uomo e l’uomo ragazzo. E allora fu il primo a dire il tempo, a dire le note.
Così non c’era più nulla a dividerli, nemmeno l’età. C’era solo la musica tra loro.
“Let it be, let it be, let it be, let it be. Whisper words of wisdom, let it be.”
Poi ognuno tornò alla sua nebbia natale. Dove nessun albero con le luci illuminava.
Ognuno si perse tra le vie del ritorno, e invece di tornare, viaggiò.
Ognuno coi suoi impegni,
ognuno coi suoi guai,
ognuno sempre coi fatti suoi.
Andrea (sdl)
