“E se non esistesse una scelta giusta?
Se fosse tutta una collisione d’eventi, un’incompleta gestione d’errori. Se fosse un intero fraintendimento?
Tutto questo, me, te, noi. Se fossimo solo una goccia tra le tante che non sa distinguersi. Salata come le altre, blu come le altre, indefinita come le altre. Guardandoci dall’alto, qualcuno potrebbe mai dire “Eccoli!”? Ci potrebbe mai identificare tra tanti?
Cosa fa una scelta giusta? E’ solo il poi, il dopo. La conseguenza delle nostre azioni. E’ vivere e saper convivere. Soprattutto con i risultati. Ecco cos’è. Non è una verità universale, non è un qualcosa che si può trovare scritto. Il bene, il male, il giusto, lo sbagliato. Sono definizioni così, fatte a mano. La vera definizione è questa: La verità è ciò che rimane quando tutto il resto è scemato. Nulla di più, nulla di meno. E la verità è anche la cosa giusta in questo caso, quella di cui non ti pentirai.”
Sandy è così, su due piedi indecisa, su quattro note sospesa, su cinque accordi adiacente. Non che sapesse definire bene il tutto, anzi. Era pensieri sconnessi, staccati dal mondo, cotone impagliato, rumore di prateria. Il gallo che canta al mattino e ti sveglia di notte. Incoerenze. Ecco. Nulla di più.
Ector invece impugna la sua sigaretta, anche se forse impugnare non è il termine adatto. Si potrebbe dire che la stringe, la tiene ostaggio di una volontà che anche lui fatica a chiarire. Combattere? Arrendersi? Qual’è la vera differenza tra i due? Solo un bivio. Nient’altro che un bivio.
Sandy cerca la forza per ribattere
“Ma cosa diavolo stai dicendo? Vuoi riassumere tutto in questo? Sei diventato stupido in cinque minuti o mi sono persa il momento in cui sei tornato nel tuo bozzolo? Ti sembra il momento di dire cose come questa? Ma soprattutto, perchè? Dico, perchè?
Verità? Bene, male, giusto sbagliato? Ma che diavolo importa.
Perchè senti il fottuto bisogno di dare una definizione a tutto?”
Ector riprese quel fare teatrale. Era lui e forse non era più lui. Altrove, un volto, una maschera, una parola che neanche pensa ma che prende vita.
“Per amore, forse. Perchè guardandoti negli occhi ho visto centinaia di prati dove correvamo. Ho visto me e te, ed un bouquet di fiori lanciati in cielo, ed il tuo vestito bianco che cadeva a terra. Ho visto tutto questo ed altro ancora, ho visto un figlio, una casa in campagna. Ho visto il caffè al mattino e tutte le parole che ci diremo sfiorandoci la notte.
Perchè, perchè perchè. Mi domandi così tanti perchè e sembra sia tu quella assetata di verità.
Io voglio solo definire spazi, dire cosa è bianco cosa è nero. Cosa è amore, cosa odio.
Cosa voglio, e cosa non voglio”.
“E cosa vuoi Ector, dimmelo. Cosa vuoi?”
Cipolle. Pensò.
Vorrei delle cipolle. Condite bene, con olio aceto sale e pepe.
Si, le vorrei proprio. In fondo cosa c’è di male nelle cipolle. Quel gusto acre, forte, deciso, che non ti abbandona. Come l’odore del sesso. Così forte, così sporco da sembrare proibito. Sporcarsi in una fanghiglia indefinita. Mischiare i propri fluidi fino a ottenere un nuovo cocktail. Per dire finalmente: Ecco, siamo noi.
“Bere. Vorrei solo bere”.
Sandy squadra gli occhi
“Stai scherzando spero!”
Ma guardandolo realizza, non sta scherzando. E’ tutto vero. A partire dal bere.
“Vorrei davvero non aver iniziato tutto questo Sandy”
“Ed ora che fai? Lanci il sasso e nascondi la mano? Pensi sia possibile farlo”
“A volte si. A volte si sceglie una strada e solo dopo ci si rende conto di cosa desideravamo.
Forse non è il bene, o il male. Forse non è la direzione. E’ solo un fatto di comprensione, di sensibilità.
Capire le cose in tempo. Afferrarle prima che sia troppo tardi, o con il giusto anticipo.
Forse saper costruire non è mettere dei mattoni, ma mettere delle fondamenta. Forse tutto questo è un castello di carte. Me, te noi. Siamo solo delle carte, niente di più. Ce la possiamo giocare la nostra partita, ma alla fine vince sempre il banco”
Destino beffardo. Vogliamo arrenderci così? Sandy è stanca.
Stanca dei litigi, delle lotte. Di combattere per qualcosa che non nasce, che continua a morire. Un eterno parto cesario, con sangue a terra, e morti, e morti e morti. E tutto che finisce e ricomincia, e loro ancora lì, a combattere una guerra nel nome di nessuno.
“Smettiamola Ector.
Cosa è rimasto di noi? Dimmelo, cosa è rimasto?”
E fu lì, in quell’istante, che Ector, fuori dal palco, dalla teatralità, da tutto quello che poteva costruire. Dalla finzione, maschere chiuse nei cassetti, uscì una verità.
Una, ma sufficiente a mettere fine a tutto questo.
Ector la guardò. Intensamente.
E con un fil di voce, rimesso ma non remissivo disse
“Noi due, non basta?”
Andrea (sdl)