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Brand new home (and moving on)

Non è una cosa che capita spesso, un trasloco. Si preannuncia come un’odissea, e si conclude con l’incredibile stanchezza di 1000 giornate.

Un trasloco, a tratti, ricorda un’avventura, dove devi cercare di dare il meglio di te.


Finalmente ho traslocato. E’ stata un’esperienza veramente strana, se mi è concesso dirlo. Principalmente perchè ha riempito la casa (e le persone) di mille sentimenti, dalla rabbia, all’ansia, all’interesse per una nuova casa. Mi sentivo come un bambino (e quando i traslocatori hanno tirato a indovinare la mia età uscendosene con un “15 anni” non è che fossi poi troppo felice, in fondo è bello dimostrare meno anni quando l’età è più avanzata, non a 22 anni!) durante tutto il giorno.

Il trasloco è stato tremendamente faticoso, forse anche perchè ho cercato di aiutare tutto e tutti finchè potevo, e non avendo un fisico così allenato, fare un centinaio di volte le scale con pacchi o normalmente, in una giornata, non è stata un’impresa così facile.


Mentre mi spostavo e aiutavo, la Old Home iniziava a perdere tutti i suoi colori, la sua vita. Ogni volta che un’armadio scompariva, il vuoto del muro era colmo di solitudine. Quando la prima parte del trasloco fu ultimata (e quindi tutto era pronto per essere portato di là) rimasi solo in casa, era pranzo ormai,

Decisi di fare delle foto, come un sottile addio a questa casa, che sarebbe comunque rimasta per sempre nei miei ricordi.

Quandi la fotografai la casa emanava tristeza e desolazione. Ogni mia azione, vecchia o nuova pareva, all’interno di essa, perdere significato. Come quando chiudevo le finestre fermandole con un filo, o mi ricordavo di chiudere la porta di camera.

E tutto faceva capire come io non appartenessi più a quel luogo, ed in fondo era così.

Nelle foto la casa era sola, e spogliata d’ogni velo pareva più violentata, che semplicemente senza l’abito da sera.

I traslocatori non fecero un gran lavoro in effetti.


Sentivo la vita che permeava da ogni angolo per fuggire via, ogni luogo della casa aveva impresse più di una decina d’anni di vita, almeno della mia. E la sentivo, la vedevo quella vita, scorrermi addosso, appoggiarsi a me, titubante di quest’addio.


La lacrima che mai scese dal mio viso fu l’addio a quel luogo, che ormai mi sembrava quasi sacro, ma che sarebbe stato sconsacrato in breve, probabilmente.


Fu un’addio silenzioso, quasi assente, io sorrisi, guardai la sedia in camera, sola come me in quella casa, guardai la cucina, vuota e con qualche mattonella rotta, i bagni il salotto. Li guardai, per non dimenticarli mai, per non dimenticare mai cosa furono e cosa sarebbero rimasti. Impressi nella mia mente tutta una vita intera per non lasciarla fuggire via.


Poi arrivarono di nuovo i traslocatori, non feci neanche in tempo a mangiare la pizza.


Era l’ora di terminare (e poi non cel’abbiamo fatta a finire, in realtà).

Andrea (sdl)

Di Andrea Grassi

Scrittore, programmatore di siti web. Appassionato da sempre di ogni forma di scrittura (copywriting, marketing, romanzi). Vivo a Montevarchi e non me ne pento.

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