Premessa: Sono un forte sostenitore del lavoro da remoto.
Ma allo stesso tempo ritengo che per passare dal lavoro in ufficio al lavoro da remoto richieda qualcosa di più che una connessione veloce.
A causa delle ultime disposizioni mi sono arrivate spesso alcune domande tipo
“Posso lavorare da casa?”
Che di per se sarebbe una domanda semplice, ma ha, come tutte le domande semplici, una profondità non evidente ad una prima occhiata.
Penso che lavorare da casa in aziende che non sono remote-first (ovvero che non sono 100% remote -di base-) sia un privilegio.
Vero, ce lo possiamo permettere per il nostro lavoro nel mondo digital, ma non basta poterselo permettere.
Cosa serve per poter dire di lavorare “efficacemente” da casa?
La parola “efficacemente” è la chiave, perché il lavoro è una reazione a catena a volte invisibile.
Ogni azienda di successo è in quel modo perchè ha imparato su tanti fronti e livelli a costruire valore.
L’ hanno fatto con i rapporti, la costanza, la fiducia e le performance.
Performance che sono il risultato di lavoro di squadra, attenzione e a volte solleciti costanti, per garantire che tutti diano il massimo e non si adagino nei momenti sbagliati.
Parlo quindi di reazione a catena perché, saltando tutti nel carro del lavoro remoto (ed io ne sono un sostenitore, sia chiaro) senza ragionare su che impegno richieda, rischiamo di diminuire le nostre performance verso i clienti.
E diminuendo le performance, riduciamo la qualità.
Che quindi porterà i clienti a non sceglierci più così frequentemente.
Che quindi porterà ad un fatturato minore.
Che quindi ci farà domandare come diavolo faremo a sostenere tutte ste persone se non abbiamo il lavoro.
Eccola la reazione a catena.
Una cosa apparentemente banale come il lavoro da remoto può portare a questo.
Ma quindi, cosa serve per poter lavorare bene da remoto?
Le basi sono
- Una connessione veloce e stabile
- Un paio di cuffie
- Una stanza silenziosa
- Nessuna persona che ti distragga
Questo è necessario, ma non sufficiente.
Il lavoro da remoto non è uguale al lavoro in sede.
Pensare che ci possiamo semplicemente tradurre in un’altra parte del mondo e avere gli stessi risultati non solo è rischioso: E’ fallimentare.
Abbiamo questi risultati anche per il contorno.
Le persone che ci seguono, che ci sostengono, che ci stimolano.
Li abbiamo per le interazioni sociali, per l’assenza di distrazioni e l’isolamento che il luogo lavorativo offre.
Li abbiamo perché il lavoro ci obbliga formalmente, di fronte agli altri, ad essere all’altezza.
Se lavoriamo da casa nessuno ci controllerà.
L’unica variabile che verrà giudicata sarà il risultato, anche per i clienti che oggi ci pagano e pagano i nostri stipendi indirettamente.
Lavorare da remoto è più “faticoso” che lavorare in ufficio e lo è per alcuni motivi banalissimi ma invisibili
- Se al lavoro ti puoi permettere di impegnarti un 80%, a casa devi lavorare al 90/100%, o rischiamo di mettere a rischio il cliente.
- Devi comunicare il 150% di quanto comunicavi prima, aggiornamenti, riepiloghi a fine giornata, chat, videocall. Quello che prima si faceva in cinque minuti con uno scambio di sedie ora si fa in un’ora.
- Non puoi bighellonare. Se lo fai siamo fregati. E ti garantisco che è davvero invitante stare a fare nulla, ma è una scelta idiota.
- Sarai solo. Ti sentirai solo. Avrai meno aiuti e dovrai cavartela in meno tempo, con meno indizi, questo perché se ci metti di più, ritorniamo al problema delle performance.
- Per allineare le persone devi documentare di più, scrivere di più, affinché anche chi non c’è possa essere allineato.
E’ per questo che è un privilegio, perché bisogna essere all’altezza del lavoro remoto. Bisogna essere capaci di cambiare, radicalmente, il proprio modo di lavorare.
E’ un impegno enorme, ed una enorme responsabilità.
Quando qualcuno mi chiede “Posso lavorare da remoto” la domanda che mi pongo sempre è
“Questa persona è matura, coraggiosa onesta ed indipendente a sufficienza per permetterselo?”
Questi quattro attributi, uniti all’intenzione ferma di portare risultati e di cambiare, permettono a chiunque di lavorare da remoto.
- Maturità
- Coraggio
- Indipendenza
- Onestà
E quindi la domanda che vorrei porre sempre è
“Te la senti?”
Ma la vorrei porre con tutte le premesse di questo testo, perché quel “Te la senti?” é una domanda banale quanto il concetto di lavoro da remoto e parimenti complessa.
Te la senti di impegnarti a non distrarti, di documentare tutto al 110% e magari dedicare del tempo extra per sincerarti che tutte le persone abbiano capito cosa hai fatto e siano aggiornate?
Te la senti di prenderti cura del tuo lavoro come non mai e non spegnere il pc quando hai finito solo perché é finita la giornata, ma prenderti cura di ogni cosa affinché chi dipende da te possa sapere cosa fare e dove sei arrivato?
Te la senti di essere più indipendente e quindi risolvere i problemi con meno aiuti in un tempo comparabile a prima?
Te la senti di essere solo, o di ripetere costantemente alla persona con cui vivi che no, non può disturbarti ora?
Te la senti di comunicare fino al vomito, perdere le dita sulla tastiera per scrivere mail riepilogative?
Te la senti di ammettere i tuoi errori quando nessuno li potrà notare?
Te la senti, insomma, di farti carico non solo di un task, ma di un impegno, un contratto invisibile, un dovere morale, che porti il tuo lavoro a essere di eccellenza più di prima?
Te la senti di ammettere che non fa per te se i risultati non saranno all’altezza?
Se la risposta è SÌ a tutto, allora puoi provarci.
Una risposta su ““Posso lavorare da casa?” e come lo smart working non sia per tutti”
Molto attuale il contenuto di questo articolo.