Songs in words (Guccini)


Non rimase molto da dire in effetti. Un bicchiere di thè caldo, una poltrona, e quattro occhi che come autostrade si incrociavano nell’aria.
Non rimase poi più tanto. I vestiti erano ancora indosso, e c’era quella complicità strana, quel desiderio di condivisione che portava due persone a incrociare le dita.
Lui e lei. lontani dal mondo, divisi da un thè.
Lui qui, lei là.
C’erano tonnellate di cemento aria strade smog, tra loro. C’era un’intero universo.
Come c’era sempre stato.
C’era tra loro e il loro futuro, c’era tra le loro labbra.
E poi nella notte piano piano tutto finiva con il disperdersi nel buio.
Tutto perdeva forma, la città, le luci, le loro mani.
Iniziarono a toccarsi senza poter essere lì. Era strano, neanche sapevano.
Erano quelle cose così trascendenti che uno neanche ci crede.
Poi, tra le auto che ogni tanto entravano nella loro testa con la prorompente luce che spezzava l’oscurità, i due provavano a scorgere il futuro, quella tenera illusione.
Si guardarono. Attraverso muri, in quell’idillio di speranze e sentimenti a cui ancora credevano.
Dedicarono alle stelle una piccola poesia, era una poesia per loro due.
Lui guardando il muro della stanza, lei scorgendo le increspature delle coperte oltre il cuscino.
Per entrambi un’auto passò, per entrambi il buio fu spezzato,
ed entrambi iniziarono la storia.
Iniziò con “C’era una volta…”
e fini con “Farewell

[Francesco Guccini – Farewell]

E sorridevi e sapevi sorridere coi tuoi vent’ anni portati così,
come si porta un maglione sformato su un paio di jeans;
come si sente la voglia di vivere
che scoppia un giorno e non spieghi il perchè:
un pensiero cullato o un amore che è nato e non sai che cos’è.

Giorni lunghi fra ieri e domani, giorni strani,
giorni a chiedersi tutto cos’ era, vedersi ogni sera;
ogni sera passare su a prenderti con quel mio buffo montone orientale,
ogni sera là, a passo di danza, a salire le scale
e sentire i tuoi passi che arrivano, il ticchettare del tuo buonumore,
quando aprivi la porta il sorriso ogni volta mi entrava nel cuore.

Poi giù al bar dove ci si ritrova, nostra alcova,
era tanto potere parlarci, giocare a guardarci,
tra gli amici che ridono e suonano attorno ai tavoli pieni di vino,
religione del tirare tardi e aspettare mattino;
e una notte lasciasti portarti via, solo la nebbia e noi due in sentinella,
la città addormentata non era mai stata così tanto bella.

Era facile vivere allora ogni ora,
chitarre e lampi di storie fugaci, di amori rapaci,
e ogni notte inventarsi una fantasia da bravi figli dell’ epoca nuova,
ogni notte sembravi chiamare la vita a una prova.
Ma stupiti e felici scoprimmo che era nato qualcosa più in fondo,
ci sembrava d’ avere trovato la chiave segreta del mondo.

Non fu facile volersi bene, restare assieme
o pensare d’ avere un domani e stare lontani;
tutti e due a immaginarsi: “Con chi sarà?” In ogni cosa un pensiero costante,
un ricordo lucente e durissimo come il diamante
e a ogni passo lasciare portarci via da un’ emozione non piena, non colta:
rivedersi era come rinascere ancora una volta.

Ma ogni storia ha la stessa illusione, sua conclusione,
e il peccato fu creder speciale una storia normale.
Ora il tempo ci usura e ci stritola in ogni giorno che passa correndo,
sembra quasi che ironico scruti e ci guardi irridendo.
E davvero non siamo più quegli eroi pronti assieme a affrontare ogni impresa;
siamo come due foglie aggrappate su un ramo in attesa.

“The triangle tingles and the trumpet plays slow”…

Farewell, non pensarci e perdonami se ti ho portato via un poco d’ estate
con qualcosa di fragile come le storie passate:
forse un tempo poteva commuoverti, ma ora è inutile credo, perchè
ogni volta che piangi e che ridi non piangi e non ridi con me…

Andrea (sdl)

Di Andrea Grassi

Scrittore, programmatore di siti web. Appassionato da sempre di ogni forma di scrittura (copywriting, marketing, romanzi). Vivo a Montevarchi e non me ne pento.

Rispondi

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.