La mia rabbia 10 anni fa, la mia rabbia adesso.
Qualcuno dal pubblico mi conceda un pò di autobiografia e un pò di noncelata malinconia se per questa volta sarò più me e meno voi.
La mia rabbia in 10 anni. Pensavo dovesse rimanere sempre uguale. La rabbia per un padre che non ti ha mai saputo (o voluto?) ascoltare. Pensavo che quella cosa così violenta che era in me a 13 anni, come a 18, sarebbe stata lì per sempre.
Quel sentimento incontrollato e senza confini, quell’oscurità innaturale.
A 13 anni sembrava più forte di tutto. Perchè non c’erano altre cose. Una pianura, ed un albero di rabbia. Forse vale anche per il resto delle cose che vivi, in quell’età. Quando a 13 anni scorgi qualcosa di “vero” di “grande”, allora pare incredibilmente infinito. Lo guardi come se non avesse confini e come se facesse parte dell’universo in ogni sua molecola.
D’altronde, tornando ancora indietro, a 6 anni, l’erba era altissima e potevi giocare a nascondino, quindi i conti sulle dimensioni (ironia permettendo) tornano anche.
A 18 appaiono i cardini, ma ancora quella rabbia non perde d’intensità. Era forte, lo ricordo. Forte e devastante, mi scuoteva, mi faceva tremare, disintegrava ogni molecola di me per poi farmi risollevare dalle lacrime, dai dolori.
18 anni. L’età in cui ti aspetti una netta distinzione tra il prima e il dopo. Quand’invece poi scopri che la realtà vive sempre in un barlume di nebbia.
Così mi sarei aspettato quella rabbia così dirompente in tutta la mia vita.
Mi ci ero già fatto l’idea, preparato, armato e pronto a partire.
E poi, puff.
Delusione. La rabbia non c’era. 23 anni e non c’era più. C’è per altre cose, ma non più per quei “baluardi dei casini” a cui oramai ero abituato. Scomparsi, liquidati, licenziati.
Non cen’era traccia. Solo un flebile sapore d’amarezza, un pò di delusione. E poi null’altro.
Quando ho chiuso la porta c’ero sempre io, non 13, non 18, ma 23 anni. Con tutte le storie che mi hanno reso il me di adesso. Un piccolo tassello di vite e contraddizioni, di racconti che dimenticherò per strada, di pianti e risa, di errori e ingenuità.
Non ci sono miracoli nella vita di ognuno, ma ci possono essere piccole cose che ci stupiscono, ci mettono dei dubbi.
Su ciò che siamo stati, su ciò che siamo, e su ciò che saremo.
Qualcuno dal pubblico mi conceda un pò di autobiografia e un pò di noncelata malinconia se per questa volta sarò più me e meno voi.
La mia rabbia in 10 anni. Pensavo dovesse rimanere sempre uguale. La rabbia per un padre che non ti ha mai saputo (o voluto?) ascoltare. Pensavo che quella cosa così violenta che era in me a 13 anni, come a 18, sarebbe stata lì per sempre.
Quel sentimento incontrollato e senza confini, quell’oscurità innaturale.
A 13 anni sembrava più forte di tutto. Perchè non c’erano altre cose. Una pianura, ed un albero di rabbia. Forse vale anche per il resto delle cose che vivi, in quell’età. Quando a 13 anni scorgi qualcosa di “vero” di “grande”, allora pare incredibilmente infinito. Lo guardi come se non avesse confini e come se facesse parte dell’universo in ogni sua molecola.
D’altronde, tornando ancora indietro, a 6 anni, l’erba era altissima e potevi giocare a nascondino, quindi i conti sulle dimensioni (ironia permettendo) tornano anche.
A 18 appaiono i cardini, ma ancora quella rabbia non perde d’intensità. Era forte, lo ricordo. Forte e devastante, mi scuoteva, mi faceva tremare, disintegrava ogni molecola di me per poi farmi risollevare dalle lacrime, dai dolori.
18 anni. L’età in cui ti aspetti una netta distinzione tra il prima e il dopo. Quand’invece poi scopri che la realtà vive sempre in un barlume di nebbia.
Così mi sarei aspettato quella rabbia così dirompente in tutta la mia vita.
Mi ci ero già fatto l’idea, preparato, armato e pronto a partire.
E poi, puff.
Delusione. La rabbia non c’era. 23 anni e non c’era più. C’è per altre cose, ma non più per quei “baluardi dei casini” a cui oramai ero abituato. Scomparsi, liquidati, licenziati.
Non cen’era traccia. Solo un flebile sapore d’amarezza, un pò di delusione. E poi null’altro.
Quando ho chiuso la porta c’ero sempre io, non 13, non 18, ma 23 anni. Con tutte le storie che mi hanno reso il me di adesso. Un piccolo tassello di vite e contraddizioni, di racconti che dimenticherò per strada, di pianti e risa, di errori e ingenuità.
Non ci sono miracoli nella vita di ognuno, ma ci possono essere piccole cose che ci stupiscono, ci mettono dei dubbi.
Su ciò che siamo stati, su ciò che siamo, e su ciò che saremo.
Andrea (sdl)