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Racconti

Il treno

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Questo racconto, come ogni racconto, è pura finzione. In ogni storia c’è ovviamente un filo di verità, o di magia. Sta al lettore scovarla, o credere di averla vista.

Si chiedono se di qua passino mai i treni, se si possano vedere, appoggiati al pendio che porta sulla collina. Se si possano scorgere tra i raggi di luce dell’alba o del tramonto, in quell’arancio surreale che li colora.
Io non li ho mai visti, ma di certo li ho sentiti. La notte, quando mi rigiravo nelle coperte, sentivo quel brusio che da lontano si avvicinava fino a divenire il battito di un cuore di ferro, e poi tornare ad essere rumore indefinito nella lontananza. Mi sono svegliato parecchie volte e spesso ho avuto paura. Paura di diventare di ferro anch’io. O di essere travolto. Sono paure che ti capitano quando sei piccolo.
Sono passati cinque anni da quella prima volta, quella in cui sentii il treno. O forse semplicemente mi avvisò che c’era. Ancora nessuno è riuscito a trovare quella ferrovia. Mi ricordo che quest’estate in città un gruppo di persone si riunì per fare un esposto al sindaco, per lamentarsi dei rumori notturni. Il sindaco scocciato rispose loro in maniera sgarbata. Anche lui non dormiva bene.
E nessuno di loro,
dico nessuno, sapeva come fare. Era quel batticuore alieno che li svegliava la notte, e mezza città non riusciva a prender sonno.
Una notte, decisi di fare un piccolo accampamento per capire se era possibile vedere il treno. Mi misi nel mezzo della salita che delineava la grande collina. Come spesso accadeva c’erano altre persone. Altri che, come me, erano lì per cercare il treno. Si sarebbero anche accontentati della ferrovia, se l’avessero trovata, ma purtroppo era una semplice ed immensa collina verde. Niente di speciale, ad un qualsiasi occhio di questo mondo.
Attaccai la mia tenda fissandola bene al terreno morbido. Era ancora estate e quindi potevo stare con meno vestiti. L’erba sotto di me era morbida ed umida e temevo di sporcare nuovamente i miei pantaloni e venire sgridato dalla mamma quando li avrei portati a lavare, ma poco importava. Se fossi tornato con qualcosa mi avrebbe almeno perdonato.
Attorno alla collina avevano messo qualche luce, ma tutte erano molto distanti tra loro. In questo modo dicevano di voler conservare l’alone di mistero attorno al treno. Secondo me volevano solo risparmiare. In fondo non si era mai vista una collina illuminata. Le altre persone intorno a me parlavano spazientite. Non era la prima volta che capitavano qui di notte, ma stavolta volevano davvero farla finita.
Però, dicevano, ci viene sempre paura.
Chissà come mai, mi domandavo, in fondo un treno è pur sempre un treno. Cosa potrà mai avere di speciale? L’unica cosa speciale era che non c’erano rotaie, e quindi dove passava? Ma tutti, dico tutti, erano sicuri che passasse di là. Il rumore era proveniente dalla collina, e chi c’era stato diceva che era assordante. Non c’erano dubbi. Il treno passava di là.
Fu così che, senza nemmeno rendermene conto, arrivai alle tre di notte, senza nemmeno un briciolo di suono che rassomigliasse il treno. I soliti rumori estivi, qualche macchina lontana, e le chiacchere di questo gruppo di persone che si erano messe a giocare a carte.
Alle quattro non resistetti più, e caddi in un sonno profondo.
Quando al mattino mi svegliai mi resi conto che sarebbe stata una dura giornata: avevo sporcato i pantaloni.

Il giorno dopo decisi di ripetere l’esperimento. La cosa strana è che altri cittadini, quella notte, avevano comunque sentito il treno passare. Quindi non ero mica tanto sicuro che la collina fosse il posto dove cercarlo. Ma, vuoi per l’aura magica della collina, vuoi perchè non sapevo dove altro cercare, ci tornai.
Ammetto che fu complicato convincere mia madre, il cui unico timore non era la mia salute, ma il modo in cui avrei riportato i vestiti. Quindi stavolta mi preparai bene con tanti teli. Piantai nuovamente la mia tenda, e mi misi ad aspettare.

Il gruppo di ragazzi del giorno precedente oggi era assente. Forse arresi all’evidente sconfitta.
Arrivarono nuovamente le tre di notte. Ma stavolta fu diverso. Passarono pochi altri minuti fin quando le luci attorno alla collina emisero una piccola intermittenza, una flessione nel loro modo abituale di risplendere. Subito dopo iniziò il brusio. Sentivo tante voci. Voci di bambini stupiti, di madri che li richiamavano all’ordine, di padri che speravano nel futuro. E poi, finalmente, quel CIUF CIUF, di un treno d’epoca che partiva. Ma ancora nessun rumore del treno che correva sulle rotaie. Era come se stessi ascoltando i dialoghi di un qualche film, senza però vedere nulla. Ero solo sulla collina, e le luci iniziarono nuovamente ad avere quel tremolio, tipico delle stelle. Ogni secondo che passava rendeva quelle luci simili a stelle in cielo, stelle tremanti ma che non cadevano, per fortuna. La terra poi iniziò ad oscillare leggermente in avanti e poi indietro. Era un’oscillazione talmente impercettibile che forse era meglio chiamarla vibrazione.

Un vento si alzò forte da nord. La mia tenda tremava come una foglia in esso. Mi avvicinai per fissarla meglio al terreno, ma una folata la portò via nella notte. Ora si che mi sarei dovuto preoccupare per la ramanzina della mamma.
Non era finita però. O forse finì lì. Il tremolio smise, le luci si spensero, il vento scomparve. Rimasi nel buio pesto in ginocchio, a cercare la mia torcia per capire almeno cosa avessi intorno, noncurante dei pantaloni che ormai si sporcavano sull’erba.
Ero lì, nel silenzio assoluto, in una totale assenza di rumori, di colori, che infine lo vidi.
Prima sentii quel brusio arrivare da lontano. Ma questa volta non erano voci, era lui. Poi, all’orizzonte, due luci iniziarono ad avvicinarsi, e quell’inconfondibile ciuf ciuf si faceva strada. Non c’erano stelle in cielo, l’unica luce che vedevo era quella del treno, e l’unica cosa che percepivo era l’erba sotto le mie mani. Ancora carponi rimasi immobile ad osservare il suo passaggio.

Passava esattamente sopra la collina. Non accanto, non vicino, sopra. Ed era un treno di altre epoche, molto vecchio. Su di esso centinaia di bambini partivano per chissà quale scuola. Sembrava il loro primo giorno. Alcuni piangevano, altri invece lottavano per conquistare il piccolo gioco dell’amico. Erano poveri, o forse appartenevano ad un’era diversa dalla mia.
Il suono fu assordante, staccai le mani dal soffice tocco dell’erba per coprirmi le orecchie finchè l’ultima scia del treno scomparve all’orizzonte.
Appena il treno se ne andò riapparvero le luci, le stelle, ed anche i tipi del giorno scorso, che mi guardavano con aria stupita.
Sarà che erano stati sempre lì, sarà che ormai erano passati dieci minuti da quando avevo iniziato, o sarà stato che lì, in quel momento, ho finalmente iniziato a sognare e loro non riuscivano a capirlo.

Andrea (sdl)

Di Andrea Grassi

Scrittore, programmatore di siti web. Appassionato da sempre di ogni forma di scrittura (copywriting, marketing, romanzi). Vivo a Montevarchi e non me ne pento.

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