Eccomi finalmente qui. Nel mio solenne vestito nero. Seta mortale che mi sfiora e mi copre. Silenziosa seta al tatto, al suono. Che voce non ha.
Ecco il mio inizio, la mia fine. Non badate al cantante, è solo una tra le tante pedine di questo palco. Come il tempo stesso.
Un preservativo, una pila non ricaricabile, la carta igienica.
Siamo questo. Come il tempo, come il nostro scadere, il tempo limite della partita.
Eccomi qui. Pronto a sfidare ogni mio problema. Come ognuno di noi dovrebbe fare. Non dobbiamo preoccuparci dei problemi che verranno, ma sfidare quelli che abbiamo. Se temiamo che ci si possa rompere l’auto, andiamo più veloce. Quando avverrà lo sapremo subito. Non ci saranno dubbi o incertezze nell’errore.
Sarà lampante, luce che acceca, innegabile, evidente. Tutto quello che non si può evitare. Sarà una porta in faccia che ti risveglia da un brutto incubo.
Perché ognuno di noi ha dei momenti dove si fanno pessimi sogni. Dove il risveglio diventa una preoccupazione. E sopravvivere un’intera giornata sembra un’impresa. Capita. Abbiamo tutti avuto paura del buio. Forse non tutti avremo avuto degli incubi che sembravano allucinazioni, ma tutti ci siamo svegliati nel sudore gelido che punge sulla pelle, nel caldo allucinato di un estate o di un inverno. E la notte che non si diluiva nell’aria. E il buio che ancora faticava a scomparire. Anche quando accendevamo la luce tutto sembrava surreale, incerto, indeciso. Eravamo pedine, eravamo giocatori?
Ecco il mio veleno. L’anima corrotta. La rabbia, il rancore. Perché dovremmo tenercelo per noi? Tenetevelo. Mangiate un po’ di questa patata bollente. Io ne faccio a meno. Del buio, dei risvegli col cuore in gola. Del cuore che batte e fa rumore. Per ora, per un po’, ne potrei fare a meno. Possiamo vivere senza tutto questo. Senza i tramonti, senza i sorrisi. Senza tutto questo si sopravvive. Forse non si vive. Ma il modo di sopravvivere c’è.
Alziamoci, per favore.
Andrea (sdl)